Sono due parole il cui significato viene spesso confuso, anche da alcuni rappresentati delle istituzioni che, sebbene, dovrebbero padroneggiare bene la materia, le usano in molti casi con valore equivalente: si tratta di ‘deficit’ e ‘debito’, termini purtroppo protagonisti, insieme a ‘spread’, del vocabolario mediatico e politico degli ultimi tempi.
Ma cosa significa di preciso ‘deficit di bilancio’? E in cosa differisce dal cosiddetto ‘debito pubblico’?
Il decifit di bilancio pubblico, altrimenti detto anche ‘disavanzo pubblico’ è l’ammontare della spesa dello Stato non equilibrata dalle entrate: in altre parole, il deficit rappresenta la differenza tra le entrate e le uscite di una nazione, quando le prime sono maggiori delle seconde e lo Stato spende più di quanto non incassi.
La copertura del deficit pubblico viene di solito effettuata attraverso l’emissione di titoli di Stato, acquistabili dagli investitori finanziari (connazionali o stranieri).
Con la dicitura ‘debito pubblico’, invece, si intende il debito accumulato da uno Stato nei confronti di altri soggetti con cui intrattiene rapporti di natura finanziaria: investitori in titoli, banche, Stati esteri.
Gli Stati che raggiungono un notevole livello di indebitamento sono a rischio default (fallimento), non potendo coprire gli obblighi finanziari contratti. A determinare tale rischio è anche il PIL degli Stati: se il prodotto interno lordo è positivo, infatti, ci sono maggiori possibilità di provvedere alla copertura economica del debito; in caso contrario, il Paese corre il consistente pericolo di non poter far fronte ai pagamenti.
Quando il rapporto tra debito pubblico e PIL è costante, si ha una situazione di ‘pareggio di bilancio’: il BEP (Break Even Point), o punto di pareggio, è quindi il momento in cui a bilancio le spese e i ricavi si compensano, senza generare utili e perdite.